{"id":1982,"date":"2023-03-08T17:06:51","date_gmt":"2023-03-08T17:06:51","guid":{"rendered":"https:\/\/interculturalita.it\/?p=1982"},"modified":"2024-01-26T12:56:43","modified_gmt":"2024-01-26T12:56:43","slug":"profilo-di-ortega-y-gasset","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/interculturalita.it\/profilo-di-ortega-y-gasset\/","title":{"rendered":"Profilo di Ortega y Gasset"},"content":{"rendered":"

Profilo di Ortega<\/em> y Gasset<\/span><\/strong><\/h2>\n

Gianni Ferracuti<\/em><\/strong><\/p>\n

 <\/p>\n

Filosofia e realt\u00e0<\/em><\/span><\/p>\n

Per comprendere adeguatamente l’opera di Jos\u00e9 Ortega y Gasset, occorre chiarire la prospettiva che guida il suo intervento nella cultura europea contemporanea. Ortega non volle essere un saggista brillante, n\u00e9 un osservatore di problemi politici, n\u00e9 un letterato o un divulgatore di temi filosofici, n\u00e9 un raffinato uomo di mondo. Fu anche tutto ci\u00f2 ma all’interno di un impegno pi\u00f9 ampio e profondamente sentito: l’impegno di essere prima di tutto e sopra tutto filosofo, solo filosofo, rigorosamente filosofo. In filosofia, il suo metodo fu l’osservazione, la contemplazione disinteressata di una realt\u00e0 non manipolata, vista senza la lente deformante di un’ideologia preconfezionata, descritta cos\u00ec come onestamente ci pare che sia.<\/span><\/p>\n

Da questo incontro con la realt\u00e0 intesa come qualcosa di concretamente esistente, in polemica con l’idealismo, nasce la sua dottrina. L’apertura verso il reale \u00e8 intesa da Ortega come la caratteristica forse pi\u00f9 importante di un nuovo modo di fare filosofia, addirittura di una nuova era del pensiero che, in riferimento a ci\u00f2 che viene lasciato dietro, pu\u00f2 essere definita post-moderna, o contemporanea. Scrive infatti<\/span><\/p>\n

L’atteggiamento intellettuale delle nuove generazioni si differenzia da quella che adottarono le precedenti – dal 1700 – per il rifiuto dell’imperialismo ideologico. Do questo nome alla propensione a porsi davanti ai fatti esigendone la previa sottomissione ad un principio.<\/em>[1]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Va per\u00f2 sottolineato energicamente che questa posizione di Ortega non implica la ricaduta nell’idolatria del fatto, caratteristica del positivismo ottocentesco. Il \u00abfatto\u00bb non \u00e8 soltanto la consistenza materiale di un oggetto, ovvero la mera relazione tra oggetti; \u00abfatto\u00bb \u00e8 il reale, l’incontro dell’uomo con il reale, i problemi che questo incontro pone. Per Ortega, la scienza sperimentale, con la sua esattezza, ha un campo legittimo di attuazione, dal quale per\u00f2 non pu\u00f2 uscire fuori, pretendendo di monopolizzare la conoscenza: essa rappresenta una porzione limitata della mente e dell’organismo umano. Quando arriva al confine che la definisce deve arrestarsi, senza per\u00f2 pretendere che contemporaneamente si arresti anche l’uomo<\/span><\/p>\n

Con violenza il secolo scorso ha preteso di frenare la mente umana l\u00e0 dove termina l’esattezza. Questa violenza, questo volgere le spalle agli ultimi problemi, fu chiamato agnosticismo. Ecco ci\u00f2 che ormai non \u00e8 giustificato n\u00e9 plausibile.<\/span><\/em><\/p>\n

Non ci \u00e8 consentito di rinunciare all’adozione di una posizione di fronte ai temi ultimi. Che lo vogliamo o no, in un modo o nell’altro, si incorporano a noi.<\/em>[2]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Quando ci poniamo di fronte alla realt\u00e0, un uomo concreto <\/em>e un mondo concreto <\/em>si incontrano: perch\u00e9 sia possibile a me, come persona, conoscere la realt\u00e0 \u00e8 necessario che io esista, che sia vivo. La \u00abmia vita\u00bb\u00e8 il presupposto della conoscenza. Cosa pu\u00f2 risultare al termine di un’indagine su qualunque oggetto, non posso predeterminarlo; per\u00f2 all’inizio dell’indagine, risulta che io sono vivo, perch\u00e9 altrimenti non si d\u00e0 problema.<\/span><\/p>\n

Detto in questo modo, pu\u00f2 sembrare persino lapalissiano. In verit\u00e0 \u00e8 bene che lo sia, a patto di indagare quali sono le conseguenze di questa posizione. Il fatto \u00e8 che la vita, presupposta alla conoscenza, non \u00e8 vita in astratto, ma in concreto, una realt\u00e0 concreta, individuata: \u00e8 la mia <\/em>vita, la vita che ciascun uomo, riferendosi a se stesso, chiama mia: \u00a0<\/em>\u00abOgni volta che dico “vita umana” bisogna evitare di pensare alla vita di un altro, e ciascuno deve fare riferimento alla sua vita<\/em>\u00bb.[3]<\/a><\/strong><\/span><\/p>\n

Questa \u00abmia vita<\/em>\u00bb \u00e8 chiamata da Ortega \u00abrealt\u00e0 radicale\u00bb<\/em> nel senso che \u00e8 la radice, <\/em>il punto di partenza della conoscenza, e non<\/em> nel senso che \u00e8 l’unica realt\u00e0 esistente: ogni altra realt\u00e0 proprio in quanto esiste, pu\u00f2 essere conosciuta solo come contenuto della mia vita. Siamo agli antipodi di ogni forma di solipsismo: \u00abQuesta realt\u00e0 radicale – la mia vita – \u00e8 cos\u00ec poco egoista e affatto solipsista, che \u00e8 per essenza l’area o scenario offerto e aperto perch\u00e9 ogni altra realt\u00e0 si manifesti in essa<\/em>\u00bb.[4]<\/a><\/strong><\/span><\/p>\n

In relazione alla conoscenza, i problemi nascono quando si tiene presente che questa mia vita \u00e8 solamente una minuscola porzione dell’universo, \u00e8 circoscritta spazialmente e storicamente, ed opera solo su un frammento della massa enorme dei dati che l’universo rappresenta per l’investigatore. La realt\u00e0 supera abbondantemente ci\u00f2 che posso toccare, abbracciare, osservare, studiare. Ne risulta che una teoria filosofica, prima ancora di essere vera o falsa, \u00e8 prospettica, <\/em>vale a dire \u00e8 ci\u00f2 che risulta a partire da quell’irripetibile punto di osservazione che \u00e8 \u00abla mia vita\u00bb<\/span><\/p>\n

Questa concezione di Ortega ha dato luogo a molti attacchi e accuse di relativismo, formulate nonostante certe prese di posizione del pensatore spagnolo estremamente critiche nei confronti di ogni visione relativista. Si pu\u00f2 chiarire la particolare concezione di Ortega ricorrendo a due esempi, forse banali, ma appropriati.<\/span><\/p>\n

a) <\/em>Se io (io inteso in senso concreto, come persona storica, fisica, e non come concetto) mi trovo di fronte ad un grattacielo con una facciata in marmo rosa, poniamo, la facciata esposta verso Nord, ho una conoscenza sicura del fatto che la facciata che vedo \u00e8 in marmo rosa. Nulla per\u00f2 mi garantisce sul fatto che anche la facciata diametralmente opposta, sul lato Sud, sia in marmo rosa. In effetti, io non sto vedendo attualmente questa facciata Sud, e potrebbe darsi il caso che, per una bizzarria dell’architetto, questa sia rivestita di marmo bianco a quadri blu. Orbene, nella contemplazione dell’universo, io trover\u00f2 sempre un certo numero, molto grande, incalcolabile, di facciate che non vedo, e sono forzatamente costretto ad elaborare teorie basandomi su un numero eccessivamente ristretto di facciate che sto vedendo.<\/span><\/p>\n

b)<\/em> Poniamo ora che io domandi a quattro persone di descrivere un semaforo, e che ottenga come risposte, rispettivamente: 1) \u00e8 alto due metri; 2) \u00e8 dipinto di verde; 3) ha le luci che si accendono a turno, come obbedendo ad un codice; 4) blocca le automobili quando \u00e8 accesa la luce rossa. Ciascuna di queste risposte \u00e8 prospettica, nel senso che coglie con fedelt\u00e0 un aspetto della realt\u00e0 e nessuna \u00e8 falsa. Questo non vuol dire perdere la distinzione tra verit\u00e0 e falsit\u00e0 ma considerare che un’osservazione pu\u00f2 essere vera o falsa, pur restando sempre un’osservazione prospettica, cio\u00e8 riportando ci\u00f2 che risulta a partire da un determinato punto di vista. L’errore pi\u00f9 grande sarebbe assolutizzare una verit\u00e0 parziale, ed escludere tutte le altre. Al contrario, la conoscenza globale del reale richiede che vengano articolate, come nel caso del semaforo, tutte le osservazioni vere, controllabili, risultanti da un determinato punto di vista. Questa coordinazione, che rimane sempre aperta a nuove prospettive, a nuove analisi intese a confermare o a correggere, \u00e8 memoria e tradizione. Se io voglio sapere il colore del marmo della facciata Sud del grattacielo di poco fa, mi debbo alzare, debbo camminare e andare a guardare. Ci\u00f2 che risulta si aggiunge a ci\u00f2 che si sapeva. Questo processo avviene in un lasso di tempo, giacch\u00e9 non mi \u00e8 possibile stare contemporaneamente a Nord e a Sud, e richiede che l’osservazione iniziale sia conservata, memorizzata, ma con apertura mentale, perch\u00e9 pu\u00f2 capitare di tornare di fronte al nostro marmo rosa e scoprire che non era affatto rosa, ma bianco, e che ci era apparso rosa per via di un particolare effetto di luce.<\/span><\/p>\n

 <\/p>\n

Verit\u00e0 e storia<\/em><\/span><\/p>\n

Per Ortega, le verit\u00e0<\/span><\/p>\n

di per s\u00e9 preesistono sempiternamente, senza alterazione n\u00e9 modificazione. Senza dubbio, la loro acquisizione da parte di un soggetto reale, sottoposto al tempo, procura loro un aspetto storico: nascono in una data e, a volte, si volatilizzano in un’altra. \u00e8 chiaro che questa temporalit\u00e0 non grava propriamente su di esse, ma sulla loro presenza nella mente umana. Ci\u00f2 che realmente si verifica nel tempo \u00e8 l’atto psichico con cui le pensiamo, il quale atto \u00e8 un evento reale, un mutamento effettivo nella serie degli istanti. Ci\u00f2 che, in rigore, ha una storia, \u00e8 il nostro conoscere o ignorare le verit\u00e0. Precisamente questo \u00e8 il fatto misterioso e inquietante, giacch\u00e9 avviene che con un pensiero nostro, realt\u00e0 transitoria e fugace di un mondo fugacissimo, entriamo in possesso di qualcosa di permanente e sovratemporale. Dunque il pensiero \u00e8 un mondo nel quale si toccano due mondi di consistenza antagonica.<\/em>[5]<\/a><\/strong><\/span><\/p>\n

Occorre sottolineare bene che i mutamenti delle opinioni non sono un processo a seguito del quale la verit\u00e0 di ieri si converte in errore. Si attua invece un mutamento nella prospettiva dell’uomo, a seguito del quale ci\u00f2 che era un errore anche ieri (ma non ce ne eravamo accorti) viene riconosciuto come tale:<\/span><\/p>\n

Non sono dunque le verit\u00e0 ma \u00e8 l’uomo a cambiare, e poich\u00e9 cambia, va percorrendo la serie delle verit\u00e0, va selezionando da questo orbe trasmondano quelle che gli sono affini, cecandosi per le altre. Si noti che questo \u00e8 l’apriori fondamentale della storia.<\/em>[6]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

L’uomo coglie quella parte di verit\u00e0 che, di volta in volta riesce a percepire, con uno studio progressivo, svolto nella gradualit\u00e0 imposta dal tempo, influenzato dalle circostanze storiche, dal sistema di credenze vigenti. Pezzo dopo pezzo, si mette insieme il mosaico della verit\u00e0 per momenti successivi, e mentre alcune tessere vengono inserite, capita che altre si stacchino e vadano perdute. La possibilit\u00e0 dell’errore – che viene cos\u00ec ad escludere ogni ideologia di tipo progressista – deriva proprio dal carattere parziale, frammentario dei dati che possiamo abbracciare, di fronte alla completezza dell’universo.<\/span><\/p>\n

L’errore si commette nella storia, e nella storia viene smascherato, in un processo continuo di approssimazione e allontanamento, nel quale idee, progetti, istituzioni saggiano la loro capacit\u00e0 di essere adeguati sostegni alle esigenze della vita umana oppure di essersi trasformati in gabbie che imbrigliano ogni novit\u00e0 in schemi di vita gi\u00e0 vissuti, assurdamente imposti agli altri. La continua responsabilit\u00e0 che all’uomo viene assegnata, in riferimento alle sue scelte, esclude ogni possibilit\u00e0 di rifiutare a priori il passato o la novit\u00e0, richiedendo invece che entrambi concorrano a trasformare in positivo il presente. Questo implica, certamente un progresso, ma nega la pretesa ottocentesca, secondo cui l’uomo progredisce necessariamente:<\/em><\/span><\/p>\n

Il presupposto minimo della storia \u00e8 che il soggetto di cui parla possa essere compreso. Orbene, non si pu\u00f2 comprendere se non ci\u00f2 che possiede una qualche dimensione di verit\u00e0. Un errore assoluto non ci sembrerebbe neanche tale, perch\u00e9 non lo comprenderemmo. Il presupposto profondo della storia \u00e8 dunque l’esatto contrario di un radicale relativismo. Quando essa va a studiare l’uomo primitivo, suppone che la sua cultura possedeva senso e verit\u00e0 e se l’aveva, continua ad averli. Quali, se a prima vista ci sembra cos\u00ec assurdo ci\u00f2 che quelle creature fanno e pensano? La storia \u00e8 precisamente la seconda vista, che riesce a trovare le ragioni dell’apparente irrazionalit\u00e0.<\/em>[7]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

La storia \u00e8 per l’uomo ci\u00f2 che la natura \u00e8 per le cose; l’uomo \u00e8 fatto di storia:<\/span><\/p>\n

La sua umanit\u00e0 quella che in lui comincia a svilupparsi, parte da un’altra che gi\u00e0 si era sviluppata ed era arrivata al suo culmine insomma, l’individuo aggiunge alla sua umanit\u00e0 un modo di essere uomo gi\u00e0 forgiato, che egli non deve inventare, dovendo semplicemente installarsi in esso, partire da esso per il suo sviluppo. (…) L’uomo non \u00e8 un primo uomo e un eterno Adamo, ma \u00e8 formalmente un uomo secondo, terzo, ecc.<\/em>[8]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

In sostanza, l’uomo \u00e8 costitutivamente un erede; non \u00e8 un tradizionalista, ma \u00e8 la tradizione vivente:<\/span><\/p>\n

Il passato, per essere propriamente tale, deve esserlo in un presente, deve trovarsi conservato in un presente. Altrimenti non sarebbe nemmeno passato, ma semplicemente nulla, pura inesistenza. L’uomo \u00e8 appunto colui che conserva presente questo passato. L’uomo \u00e8 un animale che ha dentro tutta la storia. Non esiste definizione dell’uomo meno darwiniana.<\/em>[9]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Naturalmente, proprio per \u00abessere storia\u00bb l’uomo non \u00e8 prigioniero delle forme del passato, delle quali anzi \u00e8 stato artefice. <\/em>Esso \u00e8 storia fatta <\/em>da altri uomini, e che venga conservato non implica che si cessi di fare storia, di farla anche aprendo dimensioni nuove. La tradizione, in questo senso, non si esaurisce nella conservazione della memoria storica, nella sopravvivenza di strutture e comportamenti ritenuti normativi e immutabili, ma \u00e8 memoria e creativit\u00e0; \u00e8<\/span><\/p>\n

a) il passato storico che influenza il presente;<\/span><\/p>\n

b) il momento presente in cui agisco concretamente;<\/span><\/p>\n

c) il futuro che ho in vista al momento dell’atto presente, e che andr\u00e0 a configurarsi anche in base all’uso che faccio della mia creativit\u00e0 e della libert\u00e0:<\/span><\/p>\n

L’individuo umano, nascendo, va osservando tutte le forme di vita (esistenti): ne assimila la maggior parte, ne rifiuta altre. Il risultato \u00e8 che, nell’un caso come nell’altro, egli \u00e8, costituito, positivamente o negativamente, da questi modi di essere uomo che erano gi\u00e0 presenti prima della sua nascita. Ci\u00f2 comporta una strana condizione della persona umana, che possiamo chiamare la sua essenziale preesistenza. Cio\u00e8 che un uomo, o un’opera dell’uomo, non comincia con la sua esistenza, bens\u00ec la precede. Si trova preformato nella collettivit\u00e0 in cui comincia a vivere. Questo precedersi in gran parte a se stessi, questo essere prima di essere, d\u00e0 alla condizione dell’uomo un carattere di continuit\u00e0. Nessun uomo comincia ad essere uomo, nessun uomo esaurisce l’umanit\u00e0 ma ogni uomo continua l’umano che gi\u00e0 esisteva. Questa continuazione pu\u00f2 essere indifferentemente positiva o negativa, pu\u00f2 consistere nell’accettare o nel rifiutare ci\u00f2 che \u00e8 vigente; in entrambi i casi, l’apriori storico che \u00e8 l’epoca, che \u00e8 il tempo in cui l’uomo vive, agisce su di lui e lo costituisce<\/em>.[10]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

La storicit\u00e0 dell’uomo \u00e8 un elemento che acquista una importanza insuperata, ove si tenga conto che, per Ortega, la storia \u00e8 la realt\u00e0 trascendente. La struttura della nostra vita odierna \u00e8 quella, che \u00e8 perch\u00e9 tutte le precedenti forme di vita furono come furono. Ciascuna epoca \u00e8 necessariamente inserita in una serie che, nel suo insieme, \u00e8 il destino<\/em> umano, <\/em>\u00e8 il sistema della storia. \u00abIl destino umano costituisce una melodia in cui ciascuna nota possiede il suo significato musicale collocata nel suo posto tra tutte le altre<\/em>\u00bb.[11]<\/a> Si noti bene che il corso totale della storia, il destino umano, non \u00e8 soltanto la somma degli eventi storici: esso possiede, nella sua globalit\u00e0 un significato che trascende gli eventi singoli. Evidentemente, se Cesare non avesse attraversato il Rubicone, il nostro attuale presente storico si configurerebbe in maniera diversa. Per\u00f2<\/span><\/p>\n

1) Cesare ha attraversato il Rubicone;<\/span><\/p>\n

2) poteva non farlo, ma lo ha fatto;<\/span><\/p>\n

3) quando lo ha fatto, certamente avr\u00e0 vagliato tutti gli elementi e le possibilit\u00e0 della sua situazione, avr\u00e0 bilanciato i pro e i contro, ma non si sar\u00e0 messo a pensare che grazie al suo atto il nostro oggi sarebbe stato cos\u00ec come \u00e8 e non diverso. Al significato che il fatto ha per Cesare si sovrappone il significato che il fatto ha nella storia, e i due significati non coincidono, ma sono l’uno la premessa dell’altro, e il secondo, il significato storico, \u00e8 rigorosamente trascendente: la storia \u00e8 \u00abla melodia del destino universale umano – il dramma dell’uomo che \u00e8 rigorosamente parlando, una sacra rappresentazione, un mistero nel senso calderoniano, vale a dire: un accadimento trascendente<\/em>\u00bb.[12]<\/a><\/span><\/p>\n

Di fatto, questa impostazione orteghiana \u00e8 metafisica, anche se si tratta di una metafisica che non si fonda sulle regole della ragione sillogistica, e se la strada per accedervi passa attraverso lo studio dell’uomo.<\/span><\/p>\n

 <\/p>\n

L’uomo e la circostanza<\/em><\/span><\/p>\n

L’uomo, dunque, \u00e8 un essere concreto, <\/em>il che significa che, pensando \u00abuomo\u00bb non si deve fissare la mente in concetti come \u00abbipede implume\u00bb, \u00abanimale razionale\u00bb, \u00abanimale politico\u00bb, \u00abindividuo\u00bb, ecc. Occorre invece raffigurarsi una realt\u00e0 densa e pesante, e dunque anche un pezzo di terra su cui appoggiarla, un albero per farle ombra, un pezzo di formaggio per nutrirla, una mucca, altri uomini, una complessa serie di azioni e reazioni tra la persona e la realt\u00e0 e cos\u00ec via: l’uomo concreto in una circostanza concreta e storica:<\/span><\/p>\n

Vivere consiste nel fatto che l’uomo \u00e8 sempre in una circostanza, nel fatto che egli si trova immediatamente, e senza sapere come, immerso, proiettato in un orbe o contorno che non si pu\u00f2 cambiare, in questo mondo che ora \u00e8 presente. Per reggersi in piedi in questa circostanza, deve fare sempre qualcosa. Per\u00f2 questo \u201cdover fare” non gli \u00e8 imposto dalla circostanza, al modo in cui, ad esempio, al grammofono \u00e8 imposto un repertorio di dischi, o ad un astro la traiettoria dell’orbita. L’uomo, ciascun uomo, deve decidere in ciascun istante ci\u00f2 che far\u00e0, ci\u00f2 che sar\u00e0 nell’istante successivo. Questa decisione \u00e8 intrasferibile, nessuno pu\u00f2 sostituirmi nel compito di decidermi, di decidere della mia vita.<\/em>[13]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Il rapporto tra la vita umana e la circostanza storica, inevitabile ed imposta, \u00e8 indissolubile. La circostanza \u00e8 primariamente, un puro problema che occorre risolvere:<\/span><\/p>\n

Riflettiamo sulla circostanza, e questa riflessione ci fabbrica un’idea, un piano o architettura del problema, del caos che \u00e8 di per s\u00e9 primariamente, la circostanza. Questa architettura che il pensiero pone sul nostro contorno, interpretandolo, la chiamiamo mondo o universo.<\/em>[14]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Meditare sul problema della circostanza \u00e8 una possibilit\u00e0 specificamente umana. L’animale, in effetti, sembra governato pi\u00f9 dagli avvenimenti del mondo esterno che da un suo centro guida, \u00e8 sempre attento a ci\u00f2 che accade fuori di lui, \u00e8 attratto dal mondo. Al contrario, l’uomo<\/span><\/p>\n

pu\u00f2 di quando in quando staccarsi dal suo contorno, non preoccuparsene e, sottomettendo la sua facolt\u00e0 dell’attenzione ad una torsione radicale – incomprensibile zoologicamente – voltare le spalle al mondo e mettersi dentro di s\u00e9 attendere alla sua propria intimit\u00e0, occuparsi di se stesso, e non dell’altro da s\u00e9 delle cose.<\/em>[15]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Il pensare \u00e8 appunto, il potere di ritirarsi virtualmente e provvisoriamente dal mondo e mettersi dentro se stessi, immedesimarsi (ensimismarse).<\/em> Ci\u00f2 implica, in primo luogo, che ci si possa allontanare dal mondo senza rischio e, in secondo luogo, che si abbia un \u00abposto\u00bb dove andare;<\/span><\/p>\n

Per\u00f2 il mondo \u00e8 la totale esteriorit\u00e0, l’assoluto fuori che non consente nessun altro fuori. L’unico fuori da questo fuori che \u00e8 possibile, \u00e8 precisamente un dentro, un intus, l’intimit\u00e0 dell’uomo, il suo se stesso, che \u00e8 costituito principalmente da idee.<\/em>[16]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Ovviamente non si tratta di un luogo fisico; pensare alla propria interiorit\u00e0 come ad un posto, quasi fosse geograficamente collocabile, rappresenta una metafora per indicare una realt\u00e0 del tutto eterogenea rispetto all’universo esteriore.<\/span><\/p>\n

Attraverso la riflessione, l’uomo organizza dei piani d’azione per intervenire sulla circostanza. Nota Ortega che l’uomo pone un impegno cos\u00ec grande nel compito di vivere che, quando non pu\u00f2 soddisfare le necessit\u00e0 immediate della sua vita, non si rassegna a lasciarsi morire, ma interviene per modificare profondamente la sua situazione nel presente. Se la natura non gli fornisce soluzioni, l’uomo pone in funzione una seconda linea di attivit\u00e0 se deve scaldarsi e non c’\u00e8 fuoco a portata di mano, produce fuoco. Ci\u00f2 pone in evidenza due fatti: da un lato, fare fuoco \u00e8 un fare ben distinto dallo scaldarsi, cos\u00ec come coltivare un campo \u00e8 distinto dall’alimentarsi, e inventare l’automobile \u00e8 distinto dal correre; dall’altro, le necessit\u00e0 sono tali per <\/em>la vita, ma non sono la<\/em> vita. La vita dell’uomo non si riduce alla soddisfazione delle sue necessit\u00e0 vitali. Anzi, qualora gli riuscisse di soddisfare queste, all’uomo resterebbero \u00abquelle attivit\u00e0 e la vita che egli considera come qualcosa di autenticamente suo; come la sua autentica vita<\/em>\u00bb.[17]<\/a><\/strong><\/span><\/p>\n

La vita e l’attivit\u00e0 umana non coincidono con ci\u00f2 che viene richiesto dalle oggettive necessit\u00e0 di sopravvivenza anche se \u00e8 naturale che l’uomo non possa prescindere in maniera radicale da queste necessit\u00e0:<\/span><\/p>\n

Questo chiarisce un poco il fatto che l’uomo possa cessare provvisoriamente di occuparsi di queste necessit\u00e0 le sospenda e distanziato da esse possa passare ad altre occupazioni che non consistano nella loro immediata soddisfazione. L’animale non pu\u00f2 ritirarsi dal suo repertorio di atti naturali, dalla natura, perch\u00e9 coincide con essa e non avr\u00e0 al distanziarsene, un posto in cui mettersi. Per\u00f2 l’uomo non \u00e8 la sua circostanza, ma \u00e8 soltanto sommerso in essa e pu\u00f2 in certi momenti, uscirne e mettersi dentro di s\u00e9 raccogliersi, immedesimarsi (…). In questi momenti extra o sovrannaturali di concentrazione, inventa ed esegue quel secondo repertorio di atti: fa fuoco, fa una casa, coltiva i campi, costruisce l’automobile.<\/em>[18]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Cio\u00e8 si muove in direzione di un adattamento dell’ambiente alle sue esigenze.<\/span><\/p>\n

\u00c8 di estrema importanza il fatto che l’uomo quando sfugge alle costrizioni biologiche, inizia a compiere una serie di attivit\u00e0 non biologiche e non imposte dall’ambiente. La nostra esistenza nel mondo consiste nell’essere circondati tanto da facilitazioni quanto da difficolt\u00e0. Se non incontrasse nessuna facilitazione, l’uomo non potrebbe vivere; gli \u00e8 possibile l’esistenza proprio perch\u00e9 trova qualcosa su cui appoggiarsi:<\/span><\/p>\n

Per\u00f2 siccome trova anche delle difficolt\u00e0 questa possibilit\u00e0 di esistere \u00e8 costantemente ostacolata, impedita, posta in pericolo. Ne deriva che l’esistenza dell’uomo, il suo trovarsi nel mondo, non \u00e8 un passivo stare; al contrario, egli deve lottare, costantemente e per forza, contro le difficolt\u00e0 che si oppongono a che il suo essere alloggi nel mondo.<\/em>[19]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

L’uomo, dunque, deve combattere per l’esistenza, a differenza ad esempio, di una pietra, a cui l’esistenza viene data gi\u00e0 fatta. All’uomo non \u00e8 data la realt\u00e0 conclusa di un’esistenza fatta, ma l’astratta possibilit\u00e0 di esistere. Ci\u00f2 lo costringe ad agire continuamente, sopra il sottofondo di una radicale insicurezza, che lo caratterizza come ansia di essere:<\/span><\/p>\n

Un ente che \u00e8 costituito dall’affanno di essere, che consiste nell’affannarsi per essere, evidentemente gi\u00e0 \u00e8 poich\u00e9 altrimenti non potrebbe affannarsi. Per\u00f2 che cosa \u00e8 questo ente? Gi\u00e0 si \u00e8 detto: affanno di essere. Bene; per\u00f2 pu\u00f2 sentire affanno di essere solo colui che non \u00e8 sicuro di essere, colui che sente costantemente problematico se sar\u00e0 o no nel momento che viene, e se sar\u00e0 tale e quale, in questo o in un altro modo. Cos\u00ec la nostra vita \u00e8 affanno di essere, precisamente perch\u00e9 \u00e8 nello stesso tempo, nella sua radice, radicale insicurezza.<\/em>[20]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Ci\u00f2 si spiega col fatto che l’essere dell’uomo e l’essere della natura non coincidono. All’uomo non \u00e8 sufficiente essere naturale, risolvere i suoi bisogni biologici, per sentirsi realizzato. L’uomo<\/span><\/p>\n

possiede la strana condizione per cui in parte risulta affine alla natura, ma in parte no, \u00e8 nello stesso tempo naturale ed extra-naturate, una sorta di centauro ontologico, nel quale una porzione \u00e8 immersa nella natura e l’altra mezza la trascende.<\/em>[21]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Ci\u00f2 che l’uomo ha di naturale \u00e8 anche ci\u00f2 che gli appare meno problematico ed \u00e8 quasi sentito come meno umano;<\/span><\/p>\n

Invece, la sua porzione extranaturale non \u00e8 di gi\u00e0 realizzata, ma consiste in una mera pretesa di essere, in un progetto di vita. Questo \u00e8 ci\u00f2 che sentiamo come il nostro vero essere, ci\u00f2 che chiamiamo la nostra personalit\u00e0 il nostro io.<\/em>[22]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Vivere \u00e8 sforzarsi affinch\u00e9 esista pienamente ci\u00f2 che ancora non c’\u00e8: la persona completa. Recuperando un’importante concezione dalla tradizione classica, Ortega caratterizza la vita autenticamente umana, quella cio\u00e8 in cui l’uomo sente realizzato se stesso, la sua specificit\u00e0, come il latino otium, <\/em>che viene contrapposto al nec-otium, <\/em>all’affanno per risolvere problemi di ordine pratico, e che giustamente \u00e8 caratterizzato in negativo, cio\u00e8 come uno sforzo i cui risultati servono a sgombrare il terreno per dare spazio a quell’otium <\/em>che veramente interessa per qualificare come umana la propria esistenza.<\/span><\/p>\n

 <\/p>\n

Circostanza e vocazione<\/em><\/span><\/p>\n

Le modificazioni che ciascuno tenta di apportare alla circostanza in cui si trova immerso dipendono – come si \u00e8 visto – dal contatto dell’uomo con la sua interiorit\u00e0 dalla meditazione, dall’elaborazione di un piano d’intervento sul reale e, fondamentalmente, da una particolarissima caratteristica della persona: il progetto vitale. Immersi nella circostanza, attraverso la meditazione possiamo elaborare molti piani d’azione ipoteticamente realizzabili, i quali, per\u00f2 non ci si presentano tutti allo stesso modo, non ci attirano con la stessa intensit\u00e0 non suscitano lo stesso grado di entusiasmo:<\/span><\/p>\n

\u00a0Una voce strana, emergente da non sappiamo quale intimo, segreto fondo nostro, ci chiama a scegliere uno di essi e ad escludere gli altri. (…) Questo \u00e8 l’ingrediente pi\u00f9 strano e misterioso dell’uomo. Da una parte egli \u00e8 libero: non deve essere nulla per forza, come avviene invece ad una stella. E senza dubbio, davanti alla sua libert\u00e0 si alza sempre qualcosa con un carattere di necessit\u00e0 quasi dicendo: quanto a potere puoi essere ci\u00f2 che vuoi; per\u00f2 solo se vuoi essere in un tale, determinato modo sarai quello che devi essere. Vale a dire che ciascun uomo, tra i suoi vari esseri possibili, ne trova sempre uno che \u00e8 il suo autentico essere. E la voce che lo chiama a questo suo autentico essere \u00e8 quella che chiamiamo vocazione.<\/em>[23]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

La vocazione non va intesa in senso restrittivo, come il desiderio di percorrere brillantemente le tappe di una carriera professionale. Essa, anzi, \u00e8 vocazione per una vita completa, concretissima, non limitata a scelte di lavoro, ma includente risposte a problematiche di ogni tipo, come il matrimonio, i figli, i modi di attuazione di un credo religioso o politico, la struttura delle proprie relazioni interpersonali, ecc. Si potrebbe parlare di missione, <\/em>in senso lato, di ci\u00f2 che l’uomo \u00e8 chiamato a fare nella propria vita, con il presentimento, che si rivela del tutto reale, che obbedendo a questa chiamata egli si sente in pace con se stesso, si realizza. Per\u00f2 obbedendo ad un progetto che non gli \u00e8 imposto, ma proposto, suggerito, progetto che l’uomo \u00e8:<\/span><\/p>\n

Questo progetto in cui consiste l’io, non \u00e8 un’idea o un piano ideato dall’uomo e liberamente scelto. \u00e8 anteriore, nel senso di indipendente, a tutte le idee formate dalla sua intelligenza, a tutte le decisioni della sua volont\u00e0. Pi\u00f9 ancora: ordinariamente non abbiamo di esso che una conoscenza vaga. Senza dubbio \u00e8 il nostro autentico essere, \u00e8 il nostro destino. La nostra volont\u00e0 \u00e8 libera per realizzare o no questo progetto vitale che ultimamente siamo, per\u00f2 non pu\u00f2 correggerlo, cambiarlo, prescinderne o sostituirlo.<\/em>[24]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Questo progetto \u00abpreme sulla circostanza per entrare in essa. Questa unit\u00e0 di dinamismo drammatico tra entrambi gli elementi – io e mondo – \u00e8 la vita<\/em>\u00bb.[25]<\/a><\/strong><\/span><\/p>\n

\u00c8 interessantissimo ci\u00f2 che Ortega dice applicando la nozione di progetto vitale alla persona del filosofo, e distinguendo tra la metafisica, quale elenco di dottrine raccolte nei libri di storia della filosofia, e la vocazione vissuta alla ricerca metafisica, quale la sperimenta in se stesso il vero filosofo: aderire totalmente a ci\u00f2 che sentiamo come nostro vero io,<\/span><\/p>\n

fare questo \u00e8 forse, l’autentico fare metafisica o, detto in altra maniera, metafisica \u00e8 nella sua ultima verit\u00e0 ci\u00f2 che fa l’uomo quando agisce per questa forma di necessit\u00e0 intima, e non quando, semplicemente, \u201cstudia\u201d metafisica o la sceglie come carriera e l’apprende o insegna.<\/em>[26]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Ogni uomo \u00e8 obbligato, come se <\/em>fosse il primo Adamo, a vivere autenticamente la sua vita. Per\u00f2 realizzando questo compito,<\/span><\/p>\n

trova che non \u00e8 n\u00e9 pu\u00f2 essere un primo uomo, ma \u00e8 l’uomo numero tot, nella lunghissima teoria di uomini, di generazioni che si sono succedute. Solo allora, dopo questo istante, scopre che significa essere per forza un successore, meglio ancora: un erede, a differenza dell’animale, che succede ma non eredita, e per questo motivo non \u00e8 un ente storico.<\/em>[27]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Cos\u00ec il cerchio tende a chiudersi, anche se non si \u00e8 ancora detto nulla del suo punto centrale, che \u00e8 rappresentato dal problema di Dio. Proprio in relazione al progetto vitale, il problema di Dio \u00e8 suscitato, quasi come se se ne fosse percepita l’assenza, e affiora in una frase nella quale Ortega parla di un \u00abintellettuale che \u00e8 intellettuale con disperata autenticit\u00e0 che lo \u00e8 senza rimedio, per un imperscrutabile e inesorabile decreto di Dio<\/em>\u00bb.[28]<\/a><\/strong> Ipotesi di lavoro, o suggerimento?<\/span><\/p>\n

Dio come fondamento<\/em><\/span><\/p>\n

Per Ortega, Dio \u00e8 il grande assente, non nel senso che non esiste, bens\u00ec nel senso che l’assenza \u00e8 il modo in cui riusciamo a percepirlo, il modo in cui si presenta come realt\u00e0 nell’ambito della nostra vita. Questa idea, paradossale solo all’apparenza, pu\u00f2 essere compresa meglio se accostiamo alle pagine in cui Ortega parla di Dio come fondamento dell’universo, alcune citazioni che sarebbe troppo superficiale considerare occasionali.<\/span><\/p>\n

Ad esempio, nel quadro di una interpretazione delle cose come \u00absegnali\u00bb per condurre l’esistenza, scrive che il cielo<\/span><\/p>\n

ci segnala con la sua notturna presenza patetica (…) l’esistenza gigante dell’Universo, delle sue leggi, della sua profondit\u00e0 e l’assente presenza di qualcuno, di un Essere onnipotente che lo ha calcolato, creato, ordinato e adornato.<\/em>[29]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Parlando poi della filosofia, intesa come un’attivit\u00e0 consistente nel dire <\/em>la verit\u00e0 delle cose, afferma che non si tratta di un dire qualunque,<\/span><\/p>\n

ma del pi\u00f9 solenne grave dire, un dire religioso, in cui poniamo Dio come testimone del nostro parlare, insomma, il giuramento. Ma la peculiarit\u00e0 di Dio \u00e8 che, al citarlo come testimone in questa nostra relazione con la realt\u00e0 consistente nel dirla, cio\u00e8 nel dire ci\u00f2 che \u00e8 realmente, Dio non rappresenta un terzo. Infatti, la sua presenza \u00e8 fatta di essenziale assenza; Dio \u00e8 colui che \u00e8 presente precisamente come assente, \u00e8 l’immenso assente che brilla in ogni presente – brilla per la sua assenza – e il suo ruolo, in questa chiamata a testimone, che \u00e8 il giuramento, consiste nel lasciarci soli con la realt\u00e0 delle cose, in modo che tra queste e noi non c’\u00e8 nulla e nessuno che le veli, copra, alteri od occulti; e il non esserci nulla tra le cose e noi \u00e8 la verit\u00e0. Maestro Eckhart, il pi\u00f9 geniale dei mistici europei, chiama questo Dio \u201cil silente deserto che \u00e8 Dio”.<\/em>[30]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Questo cogliere Dio per la sua assenza \u00e8 strettamente legato al fatto che Dio non \u00e8 una realt\u00e0 tra le tante nel mondo, ma \u00e8 il fondamento stesso del mondo, colui che pone in essere il mondo.<\/span><\/p>\n

Il mondo, infatti, \u00e8 l’insieme, il <\/em>complesso delle cose che andiamo osservando e di quelle che, pur esistendo, non vediamo immediatamente. Per\u00f2 ogni singola realt\u00e0 esistente nell’universo non \u00e8 assoluta, ma \u00e8 costitutivamente una parte, <\/em>un frammento dell’universo stesso; non potrebbe esistere senza il tutto in cui \u00e8 inserita: un albero concreto non pu\u00f2 esistere se le sue radici non poggiano su un terreno, o senza l’aria, insomma se non \u00e8 incastrato nel complesso delle realt\u00e0<\/span><\/p>\n

Ad un’analisi accurata, scopriamo che la stessa materia, pur esistendo di fatto, non ha potuto darsi l’essere da sola, non ha potuto raggiungere l’esistenza in virt\u00f9 di una sua propria capacit\u00e0. Non si pu\u00f2 pensare la materia senza vederla come qualcosa che \u00e8 stata posta in essere da qualche altra potenza. Per presente che sia una qualunque realt\u00e0 sempre le \u00e8 compresente il mondo, senza il quale essa non esisterebbe. Per\u00f2 \u00abneppure il mondo si spiega da se stesso: al contrario, quando ci troviamo teoreticamente dinanzi ad esso, ci \u00e8 dato soltanto… un problema<\/em>\u00bb[31]<\/a><\/strong>. In che consiste, dunque, il problema?<\/span><\/p>\n

Il mondo che troviamo, esiste; per\u00f2 nello stesso tempo, non \u00e8 sufficiente a se stesso, non sostiene il suo proprio essere, proclama il suo non essere e ci obbliga a filosofare; perch\u00e9 questo \u00e8 filosofare, cercare al mondo la sua integrit\u00e0 completarlo in Universo e costruire alla parte un tutto dove si collochi e poggi. Il mondo \u00e8 un oggetto insufficiente e frammentario, un oggetto fondato in qualcosa che non \u00e8 lui, che non \u00e8 ci\u00f2 che \u00e8 dato. Questo qualcosa ha, pertanto, una missione sensu stricto fondamentante, \u00e8 l’essere fondamentale. Come diceva Kant, \u201cquando il condizionato ci \u00e8 dato, l’incondizionato ci \u00e8 posto come problema”<\/em>.[32]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

\u00a0<\/em><\/span>Fondamentale<\/em> \u00e8 un attributo indicante che questo essere \u00e8 propriamente ci\u00f2 che d\u00e0 un fondamento all’universo, ci\u00f2 che lo pone nell’esistenza; \u00e8 ci\u00f2 su cui si erge l’esistenza stessa.<\/span><\/p>\n

L’Essere Fondamentale \u00e8 postulato e non dato. In effetti, non lo si pu\u00f2 cercare nel mondo come una cosa tra le tante, che finora non ci si \u00e8 resa patente. L’Essere Fondamentale non \u00e8 un dato presente, bens\u00ec appunto ci\u00f2 che manca al presente. Possiamo conoscerlo nello stesso modo in cui, guardando un mosaico, percepiamo la mancanza di un certo numero di tessere; ne vediamo l’assenza, che \u00e8 il suo modo di essere presente: \u00abL’essere fondamentale \u00e8 l’eterno ed essenziale assente, \u00e8 quello che sempre manca nel mondo, e di lui vediamo solo la ferita che la sua assenza ha lasciato<\/em>\u00bb.[33]<\/a><\/strong> Dato ci\u00f2 non pu\u00f2 assomigliare a nessuna realt\u00e0 presente, che \u00e8 precisamente una realt\u00e0 data, secondaria, fondata: \u00e8 \u00abper essenza il completamente altro, il formalmente distinto, l’assolutamente eterogeneo<\/em>\u00bb.[34]<\/a><\/strong><\/span><\/p>\n

Si tratta di una eterogeneit\u00e0 che Ortega non \u00e8 disposto ad attenuare, per non correre il pericolo di una umanizzazione del divino:<\/span><\/p>\n

Poich\u00e9 nelle religioni appare sotto il nome di Dio ci\u00f2 che in filosofia nasce come problema di fondamento per il mondo, vediamo anche in esse la presenza di due atteggiamenti: di coloro che portano Dio troppo vicino e, come Santa Teresa, lo annoverano tra le cose pi\u00f9 quotidiane, e di coloro che, a mio giudizio con maggior rispetto e tatto filosofico, lo allontanano e lo traspongono a distanza dall’uomo.<\/em>[35]<\/strong><\/a><\/span><\/p>\n

Conclusione<\/em><\/span><\/p>\n

A questo punto, crediamo lecito trarre le conclusioni di questa sintetica rassegna delle principali tematiche del pensiero orteghiano sull’uomo, sulla storia, sulla metafisica.<\/span><\/p>\n

1) Si \u00e8 visto che l’uomo \u00e8 costitutivamente un ente storico; che la storicit\u00e0 non \u00e8 un suo attributo marginale, ma la sostanza stessa del suo essere.<\/span><\/p>\n

2) Ogni fatto storico si pone inevitabilmente tra un fatto che lo precede e un fatto che lo segue: ci\u00f2 d\u00e0 alla storia una continuit\u00e0, una struttura che la configura come sistema.<\/span><\/p>\n

3) La storia \u00e8 pur sempre una creazione umana, \u00e8 fatta dall’uomo.<\/span><\/p>\n

4) \u00e8 fatta liberamente, <\/em>esercitando la libert\u00e0, scegliendo tra le opzioni possibili all’interno della circostanza. In teoria il passato poteva essere diverso, ma non lo \u00e8 stato, e il sistema della storia, la \u00absacra rappresentazione\u00bb del destino umano \u00e8 appunto ci\u00f2 che si \u00e8 verificato senza la costrizione di una necessit\u00e0 paragonabile a quella che inchioda un pianeta alla sua orbita.<\/span><\/p>\n

5) La storia \u00e8 scienza sistematica della vita; il fatto storico \u00e8 libert\u00e0 esercitata.<\/span><\/p>\n

6) Non possiamo evitare di esercitare la nostra libert\u00e0: paradossalmente siamo costretti ad essere liberi. Immersi nella circostanza, in una interrelazione drammatica, dobbiamo continuamente decidere ci\u00f2 che andremo a fare nel momento successivo a quello che stiamo vivendo.<\/span><\/p>\n

7) Questa decisione viene presa sotto la spinta del progetto vitale, cio\u00e8 del \u00abchi siamo\u00bb di fatto, senza che siamo stati noi a sceglierci questo \u00abchi\u00bb, vale a dire nel tentativo di realizzarci come persone.<\/span><\/p>\n

8) La vocazione non spinge all’azione solo il singolo, ma intere generazioni: la mia personale vocazione e, in parte, comune alla vocazione dei miei contemporanei, \u00e8 legata al presente in cui vivo, alle esperienze del passato storico memorizzato e selezionato. \u00c9 facilmente avvertibile una consonanza di mentalit\u00e0 tra quanti sono grosso modo contemporanei (e Ortega ne parla nella sua teoria delle generazioni).<\/span><\/p>\n

9) Il sistema della storia implica il sistema delle vocazioni; vale a dire che la mia vocazione, ci\u00f2 che sento come mia personale ed intima autenticit\u00e0 \u00e8 una categoria a priori della storia, \u00e8 parte integrante del significato metafisico che la storia globale dell’uomo realizza, nel rispetto della libert\u00e0 personale.<\/span><\/p>\n

10) Si ha dunque che la storia la fa l’uomo, ma l’uomo da solo non \u00e8 sufficiente a spiegarla, perch\u00e9 ciascun uomo si limita a farne un frammento, sotto l’istanza della propria autorealizzazione e di un suo intimo imperativo normativo. Cos\u00ec la storia richiede, come ogni altra realt\u00e0 dell’universo, un Essere fondamentale artefice del progetto metafisico che nella storia si realizza. Detto in termini teologici, richiede una provvidenza; detto in termini sociologici, richiede una tradizione.<\/span><\/p>\n