{"id":84,"date":"2019-05-28T00:40:00","date_gmt":"2019-05-28T00:40:00","guid":{"rendered":"https:\/\/interculturalita.it\/?page_id=84"},"modified":"2023-03-09T17:48:25","modified_gmt":"2023-03-09T17:48:25","slug":"studi-interculturali-rivista","status":"publish","type":"page","link":"https:\/\/interculturalita.it\/studi-interculturali-rivista\/","title":{"rendered":"Studi Interculturali"},"content":{"rendered":"
Mediterra\u0301nea – Teorie e pratiche dell\u2019interculturalita\u0300
\nCoordinamento a cura di Gianni Ferracuti e Ana Cecilia Prenz
\nDipartimento di Studi Umanistici, Universita\u0300 di Trieste
\nAndrona Campo Marzio, 10 – 34124 Trieste.<\/p>\n
Di norma, i contributi per Studi Interculturali sono a invito; \u00e8 tuttavia possibile proporre alla redazione la pubblicazione di testi inediti, che verranno vagliati da esperti dei temi trattati (doppio referee anonimo). Per contatti inviare una mail a Gianni Ferracuti o ad Ana Cecilia Prenz nel loro recapito istituzionale presso l’Universit\u00e0 di Trieste.<\/p>\n
Il Centro di Studi Mediterra\u0301nea \u00e8 nato nel 2007 nell’allora Dipartimento di Lingue e Letterature dei Paesi del Mediterraneo e nel Corso di Laurea in Scienze e Tecniche dell’Interculturalit\u00e0 dell’Universit\u00e0 di Trieste (oggi disattivato), con la pubblicazione della rivista Mediterra\u0301nea. <\/em>Nel 2012, nel quadro di un potenziamento del progetto originario, \u00e8 nata Studi Interculturali, <\/em>coordinata da Gianni Ferracuti e Ana Cecilia Prenz, il cui carattere scientifico \u00e8 riconosciuto dall’ANVUR.<\/p>\n La rivista si avvale di un comitato scientifico integrato dai coordinatori e dai seguenti membri:<\/p>\n Interculturalit\u00e0 \u00e8 una parola usata abitualmente a sproposito e spesso per giustificare il contrario di ci\u00f2 che dovrebbe rappresentare: contaminazioni insensate, diluizione delle identit\u00e0 tradizionali e perdita delle culture nella confusione informe di un presente senza memoria e perci\u00f2 malleabile e controllabile.<\/p>\n Nella relazione interculturale, presa come fatto sociale, il primo problema da risolvere \u00e8 la comprensione del comportamento altrui. Ogni cultura (concretamente incarnata da un individuo) \u00e8 un sistema di precomprensioni (pregiudizi e pre-giudizi), codici interpretativi, schemi mentali che non escludo ignoranza e paranoie, per cui non \u00e8 difficile fraintendere il significato di un atto compiuto da un individuo appartenente a una cultura altra.<\/p>\n Questa comprensione della cultura altra attraverso i suoi stessi criteri interpretativi deve avvenire nella reciprocit\u00e0: se io mi sforzo di capire la cultura di un immigrato, \u00e8 giocoforza che lui si sforzi di capire la mia.<\/p>\n Molto spesso, quando la relazione interculturale avviene nei paesi occidentali, si commette l’errore di pensare che l’incontro avviene tra un \u00abnoi\u00bb – collettivit\u00e0 laica, neutra, priva di connotazioni etniche – e \u00abgli altri\u00bb che hanno spazio e accoglienza, grazie a \u00abnoi\u00bb e alla nostra civilt\u00e0 non escludente: niente di pi\u00f9 sbagliato, noi siamo etnici esattamente come gli altri, abbiamo usi e costumi e identit\u00e0 e, come gli altri, ne abbiamo diritto. Questa sorta di ritrazione suona molto coloniale, con un retropensiero che dice: io, civile, faccio spazio a te, primitivo incapace di comprendere.<\/p>\n Il secondo errore viene da ignoranza: siccome la relazione interculturale richiede una comprensione reciproca<\/em>, bisogna che qualcuno spieghi agli interessati perch\u00e9 non debbono sentirsi offesi da certi comportamenti (per esempio, un musulmano dal presepe e un cristiano dal ramadan).<\/p>\n Un terzo errore consiste nell’identificare il concetto di intercultura con quello di contaminazione. In molti documenti ufficiali, anche elaborati dal Ministero della Pubblica Istruzione, si insiste sulla necessit\u00e0, appunto, della contaminazione culturale, cosa che, detta senza cautele, rappresenta una colossale sciocchezza. La contaminazione culturale pu\u00f2 essere una scelta personale, pu\u00f2 persino essere reclamata come diritto individuale, ma non pu\u00f2 essere un obbligo e ognuno ha il diritto di non volersi contaminare; nelle relazioni reali, dopo la fase della reciproca comprensione si apre la fase in cui si misura SE e fino a che punto l\u2019uno pu\u00f2 accettare l\u2019altro: la relazione interculturale non \u00e8 necessariamente un fatto automatico n\u00e9 un obbligo; ci sono condizioni in cui non pu\u00f2 avvenire.<\/p>\n Per esempio, io posso avere una piena e completa comprensione del fenomeno chiamato infibulazione – e proprio per questo non lo accetto<\/em>. La mia identit\u00e0 etnica e storica mi rende incompatibile con questo fenomeno culturale, per cui chi lo volesse praticare o cambia paese o va in galera: infatti, non si tratta di fare\u00a0una discussione teorica tra le mie idee<\/em> e le idee<\/em> altrui, bens\u00ec di realizzare o men una relazione sociale, che avviene in un contesto storico concreto, nel quale la cultura maggioritaria non \u00e8 solo composta di pensieri e pregiudizi, ma \u00e8 anche strutturata in istituzioni e leggi. In Italia, come in qualunque altro paese del mondo, vige un sistema di leggi e la legge si applica a tutti indistintamente. Non esiste possibilit\u00e0 di accettare l\u2019infibulazione in Italia perch\u00e9 le mutilazioni personali sono proibite e perch\u00e9 la stessa legge che le proibisce obbliga a tutelare e proteggere la persona che sarebbe mutilata<\/em>.<\/p>\n Il diritto vigente determina le forme e i limiti dell\u2019integrazione. Se uno non vuole mandare la figlia a scuola violando ci\u00f2 che \u00e8 stabilito per tutti in fatto di obblighi scolastici, debbono intervenire i servizi sociali – che sia bianco, nero, rosso, zingaro o boscimano. Se uno vuole impedire ai figli maggiorenni di vivere secondo modi e costumi che nel sistema giuridico sono legali, devono intervenire i carabinieri, chiunque egli sia. Nello stesso tempo, il diritto determina gli spazi che le culture minoritarie possono esigere: il ramadan non \u00e8 in contrasto con le leggi vigenti (in Italia la libert\u00e0 religiosa \u00e8 riconosciuta in Costituzione), quindi i musulmani lo possono praticare liberamente, come hanno diritto a pregare in una moschea, o a piccole pause in orario di lavoro nelle ore della preghiera rituale, ecc.<\/p>\n Interculturalit\u00e0 come prassi<\/p>\n Anche se interculturalit\u00e0 \u00e8 una parola entrata nell\u2019uso in epoca recente, i fatti a cui essa allude – le relazioni interculturali – rappresentano da sempre una realt\u00e0 abituale nel mondo mediterraneo. Naturalmente, non tutte le relazioni tra popoli hanno carattere interculturale, come \u00e8 evidente nei casi di ghettizzazione o di apartheid<\/em>, o nelle guerre tra culture, in cui si mira all\u2019annientamento dell\u2019Altro. Perch\u00e9 vi sia una relazione interculturale \u00e8 necessario che, a livello individuale o collettivo, due culture si riconoscano legittimamente pari dignit\u00e0, pur nelle loro evidenti differenze.<\/p>\n L\u2019interculturalit\u00e0 non mira all\u2019eliminazione delle differenze tra due tradizioni, n\u00e9 cerca di creare una terza cultura ibrida o forme di sincretismo; al contrario, parte dall\u2019accettazione delle differenze e si occupa, in primo luogo, di organizzare una convivenza sociale che ne salvaguardi la ricchezza. Da questo punto di vista, l\u2019interculturalit\u00e0 \u00e8 anzitutto una prassi.<\/p>\n Interculturalit\u00e0 non \u00e8 relativismo<\/p>\n L\u2019accettazione delle differenze, anche su temi fondamentali come la fede religiosa, non implica alcuna forma di relativismo: il relativismo \u00e8 un tema del tutto eterogeneo, di cui l\u2019interculturalit\u00e0 non ha motivo di occuparsi. I membri di ciascuna tradizione possono essere sinceramente convinti di vivere \u201cnella verit\u00e0\u201d, e l\u2019interculturalit\u00e0 non si pone il problema di criticare questa loro convinzione; tuttavia, se chi pensa di vivere nella verit\u00e0 non ritiene suo dovere ammazzare tutti gli altri, che vivrebbero nell\u2019errore, ma tenta di convivere nel rispetto, si apre la possibilit\u00e0 della relazione interculturale, senza che vi abbia influenza la questione del relativismo.<\/p>\n Ora, la prima condizione per realizzare la convivenza dei diversi in un ambito sociale unico \u00e8 capirsi: la prassi dell\u2019interculturalit\u00e0 sfocia immediatamente nella questione teorica di conoscere l\u2019Altro, e capire che cosa pensa e sente, con un\u2019altra lingua, altre credenze, altri costumi e, soprattutto, un\u2019altra storia.<\/p>\n Interculturalit\u00e0 \u00e8 comprensione<\/p>\n Oggi si parla abitualmente di mediazione culturale, e il termine \u00e8 accettabile se non allude alla costruzione di una cultura media tra due diverse, bens\u00ec al tentativo di rendere comprensibile all\u2019Uno i comportamenti e le credenze dell\u2019Altro. Questo non \u00e8 un atteggiamento spontaneo, anche se avviene frequentemente, grazie al fatto che le persone comunicano e, parlando, si chiariscono. Spontaneo \u00e8 piuttosto applicare alle forme della cultura altrui i criteri interpretativi della cultura propria. Ad esempio, \u00e8 abbastanza comune sentire degli occidentali che, interpretando il velo delle donne islamiche alla luce della propria cultura, lo giudicano un simbolo di inaccettabile sottomissione della donna all\u2019uomo: ignorano il valore che il velo assume per molte donne musulmane, anche femministe e impegnate in politica, le quali lo interpretano in maniera opposta.<\/p>\n A nessuno verrebbe in mente di affermare che il chador, indossato abitualmente dalle suore cristiane, \u00e8 segno di maschilismo e rinuncia alla dignit\u00e0; al tempo stesso non credo sia facile trovare una donna musulmana convinta che il corpo nudo nella copertina di una rivista sia simbolo di progresso e libert\u00e0. E poi, gli usi hanno una storia: nell\u2019ellenismo il velo era attributo della matrona (la schiava non lo portava) e segnalava che la donna che lo indossava non era disponibile. L\u2019hijab<\/em>, che noi chiamiamo \u201cvelo\u201d (chador<\/em> \u00e8 termine persiano) significa appunto tenda, schermo, ed \u00e8, in un certo senso, un muro di difesa. Peraltro, indossarlo non \u00e8 un precetto coranico.<\/p>\n Fino agli anni Sessanta del secolo scorso le donne italiane indossavano il velo per entrare in chiesa: si trattava spesso di un fazzoletto di ridotte dimensioni, a dimostrazione del senso simbolico del gesto, del tutto estraneo a questioni di dignit\u00e0 della donna e maschilismo. Agli uomini era richiesto di stare a capo scoperto, mentre per entrare in una sinagoga occorre coprirlo. Lo sci\u00e0 di Persia, Reza Pahlavi obblig\u00f2 le donne musulmane a togliersi il chador<\/em>, costringendole a girare in pubblico a viso scoperto, provando di fatto la sensazione imbarazzante di essere nude in pubblico; con il successivo regime islamista il velo fu reso obbligatorio, e la polizia obblig\u00f2 le donne a indossarlo: verr\u00e0 il giorno in cui lo stato non si occuper\u00e0 di queste cose e la scelta di velarsi o meno dipender\u00e0 dalla libert\u00e0 e dalla propria cultura.<\/p>\n Si pu\u00f2 giocare a lungo con variazioni sul tema \u201creligioni e copricapo\u201d, ma il senso \u00e8 chiaro: nella relazione interculturale bisogna interpretare ogni fatto o atto in base ai suoi presupposti storico-culturali e non in base a criteri che gli sono estranei.<\/p>\n Comprendere l\u2019altro, comprendere s\u00e9 stessi<\/p>\n Naturalmente, capirsi \u00e8 un tentativo e una condizione, non una soluzione. Posso capire intellettualmente certi comportamenti altrui che, legittimamente, continuano ad essere per me inaccettabili: ad esempio, l\u2019infibulazione; in queste situazioni pu\u00f2 accadere che la relazione interculturale sia impossibile da instaurare. Proprio perch\u00e9 interculturalit\u00e0 non \u00e8 relativismo, pu\u00f2 accedere che nasca un conflitto tra temi o posizioni che vengono ritenuti non negoziabili: in tal caso non si produce accordo e la cultura maggioritaria impone le sue norme. Sulla scorta della mia cultura, non esiste nessun ragionamento al mondo che possa farmi accettare una zona franca in cui, in Italia, qualcuno pratichi liberamente la clitoridectomia per ragioni religiose e culturali: dal mio punto di vista, o cambia la sua cultura, o se la porta altrove – come dicevo, la relazione interculturale \u00e8, nei fatti, un tentativo<\/em> di costruire una convivenza sociale.<\/p>\n Mi rendo conto che questa posizione pu\u00f2 apparire discutibile a molti, che vorrebbero l\u2019intercultura come una pacifica accettazione di ogni cosa, purch\u00e9 appartenga a una tradizione: non funziona cos\u00ec nella realt\u00e0. L\u2019errore nasce dal non avvertire che anche noi, bianchi occidentali razionalisti e laici, siamo un\u2019etnia, una tradizione, e abbiamo credenze non mediabili, e che la relazione interculturale avviene molto spesso tra una cultura maggioritaria e una minoritaria: la pari dignit\u00e0 non si traduce automaticamente in pari peso sociale. Ne derivano due conseguenze.<\/p>\n In primo luogo, posso capire che certi comportamenti della mia cultura, che ritenevo \u201cnormali\u201d, sono in realt\u00e0 discutibili ed etnicamente connotati. Per esempio, noi crediamo nella laicit\u00e0 dello stato, e questo si traduce in Francia nel divieto di indossare a scuola simboli o abiti che facciano esplicito riferimento alle credenze religiose: \u00e8 una posizione che, alla luce delle premesse della democrazia francese, appariva ovvia, \u201cprogredita\u201d, e valeva come garanzia della libert\u00e0 religiosa individuale. Questa ovviet\u00e0 scompare di fronte a una minoranza che (senza necessariamente mettere in discussione i principi democratici), d\u00e0 all\u2019abbigliamento un valore simbolico, per s\u00e9 molto importante, perfettamente compatibile col diritto costituzionale di professare liberamente la propria religione. Orbene, se l\u2019obiettivo \u00e8 uno stato laico, che garantisca ai cittadini la libert\u00e0 religiosa, forse lo si consegue in forma pi\u00f9 piena col comportamento opposto, cio\u00e8 riconoscendo a ciascuno la possibilit\u00e0 di esercitare liberamente le sue scelte, e liberamente di seguirne gli usi. Viene meno la laicit\u00e0 dello stato se si consente a una suora di frequentare un istituto scolastico vestita da suora e a una studentessa islamica di frequentarlo col velo? Proibire tutti i simboli religiosi implica che la neutralit\u00e0 religiosa dello stato sottomette i cittadini a un obbligo insensato per loro; ammetterne la pluralit\u00e0, implica che la neutralit\u00e0 religiosa dello stato si sottomette ai cittadini, garantendo e rispettando la loro libert\u00e0. La concezione francese della laicit\u00e0 dello stato \u00e8 etnicamente connotata: il comportamento laico dello stato, in un\u2019altra cultura, avrebbe altre forme e regolamenti. In questo caso, le esigenze della cultura minoritaria permettono alla cultura maggioritaria di migliorarsi e precisare il modo in cui tradurre in prassi i suoi stessi valori.<\/p>\n Personalismo e democrazia<\/p>\n In secondo luogo, il confronto tra le culture maggioritaria e minoritaria evidenzia una stortura o una lacuna nell\u2019idea vigente di democrazia. Siamo abituati ad estendere a ogni situazione sociale il criterio della decisione presa a maggioranza, dove ogni persona equivale a un voto. Se si mette ai voti, in una scuola occidentale, la norma che proibisce alle studentesse islamiche di indossare il velo, o a un rabbino di avere sempre il capo coperto, \u00e8 facile che la votazione rifletta i costumi della cultura maggioritaria e la norma sia approvata. Questa violenza nei confronti della cultura minoritaria sar\u00e0 formalmente democratica, ma \u00e8 realmente in sintonia con i valori profondi di una democrazia di persone? \u00c8 possibile una democrazia reale e moralmente giusta fuori dalla prospettiva interculturale?<\/p>\n Identit\u00e0 complesse e mutevoli<\/p>\n La relazione interculturale \u00e8 qualcosa che si tenta di instaurare partendo dalla comprensione dell\u2019Altro, che \u00e8 anche comprensione (o miglior consapevolezza) di me stesso. Nel momento in cui comprendo l\u2019Altro, e quindi sono in grado di interpretarlo alla luce della sua cultura, pu\u00f2 capitarmi di fare delle scoperte interessanti: per esempio, che certi elementi della sua cultura mi servono nella mia. Pu\u00f2 trattarsi di elementi della cultura materiale: ad esempio, il cous cous o il kebab. O la bistecca condita con l\u2019olio d\u2019oliva (originariamente un uso ebraico). O pu\u00f2 trattarsi di elementi pi\u00f9 sofisticati, come i numeri arabi e l\u2019algebra. O degli elementi che appartengono ai livelli pi\u00f9 alti di una tradizione: l\u2019influenza di Averro\u00e8 nella Summa<\/em> di san Tommaso. Questi casi non appartengono al campo dell\u2019ibridazione o del sincretismo; al contrario, si tratta di un\u2019incorporazione che irrobustisce la tradizione che li riceve.<\/p>\n Dai tempi del Profeta, cristiani e musulmani, per non dire degli ebrei, irrobustiscono le loro rispettive identit\u00e0 in una relazione interculturale, che tutto ha prodotto tranne la fusione in una cultura unica. Ogni tradizione culturale cresce e si arricchisce nella storia grazie all\u2019incontro con altre culture. Laddove questo manca per un periodo di tempo considerevole, la tradizione culturale si sclerotizza, e il risultato sono quelle culture che chiamiamo primitive: i popoli etnologici che, parlando con rigore, sono piuttosto culture terminali. Se elenchiamo tutti gli elementi caratteristici della nostra tradizione, che hanno avuto origine in una tradizione estranea, non possiamo che restarne impressionati, partendo dalla pasta e dal caff\u00e8, passando attraverso l\u2019uso dei pantaloni, e finendo con la nostra rispettabilissima religione, che \u00e8 un culto nato nel Medio-Oriente.<\/p>\n Questo ci insegna che la nostra identit\u00e0 (ogni identit\u00e0) non \u00e8 una forma di vita fissa e definita una volta per tutte, bens\u00ec \u00e8 una realt\u00e0 vivente. Occorre, dunque, articolare il senso delle radici, che appartengono al passato, con la cura e la progettazione, che \u00e8 rivolta al futuro. Immaginare che tradizione sia la ripetizione di ci\u00f2 che hanno fatto i nostri antenati equivale ad amputarsi di quella creativit\u00e0 con cui i nostri antenati avevano costruito il loro presente. Ed \u00e8 un errore ridicolo appiattire tutti gli elementi di un\u2019identit\u00e0 tradizionale, assegnando loro lo stesso valore, senza distinguere tra credenze fondamentali ed elementi accessori legati ai tempi, alle mode, agli interessi individuali. Il kebabbaro<\/em> (geniale neologismo) non inquina la nostra identit\u00e0 pi\u00f9 del sushi, n\u00e9 una dieta a base di involtini primavera rende buddhisti. Noi, poi, che abbiamo portato la pizza napoletana in ogni angolo della terra, da Shangai a Katmandu!<\/p>\n Ambito sociale multiculturale<\/p>\n Si parlava poc\u2019anzi di organizzare una convivenza sociale che salvaguardi la ricchezza delle differenze culturali: questo implica un ambito sociale che sia, in varie proporzioni, uno spazio multiculturale. Questa condizione rappresenta la normalit\u00e0 nella maggior parte del mondo odierno, ma ci\u00f2 non significa che sia anche una novit\u00e0. La multiculturalit\u00e0 \u00e8 stata la condizione normale di tutte le culture del passato una volta superata un\u2019eventuale fase iniziale di isolamento. Se oggi non ce ne rendiamo conto, e i fenomeni migratori ci sembrano nuovi e preoccupanti, \u00e8 perch\u00e9 non ci siamo ancora liberati di alcune aberrazioni ideologiche nate nella nostra modernit\u00e0: ad esempio l\u2019idea di far coincidere la realt\u00e0-societ\u00e0 con l\u2019omogeneit\u00e0 etnica, o peggio ancora l\u2019idea dello stato-nazione: un principio teorico irreale, secondo cui una cultura etnicamente omogenea produrrebbe una societ\u00e0 i cui usi codificati non ammettono lo \u201cstraniero\u201d, se non nella forma deludente del principio di tolleranza, e nel cui seno si produce uno stato che custodisce e salvaguarda i valori etnici attraverso la loro incarnazione in stili di vita imposti ai cittadini. Un popolo, uno stato, un capo – di nefasta memoria.<\/p>\n Di fronte a questa prospettiva, l\u2019interculturalit\u00e0 si presenta come una teorizzazione pi\u00f9 realistica dei rapporti interpersonali, attraverso un concetto che potremmo definire come \u201cla nazione senza stato\u201d. Questo concetto va inteso nel senso che una cultura \u00e8 rappresentata in primo luogo da coloro che si collocano al suo interno, perch\u00e9 l\u2019hanno recepita nella loro educazione, e contribuiscono a mantenerla con il loro contributo. Se il destino mi portasse a vivere in un paese dell\u2019Africa, io sarei, in questo paese, una testimonianza dell\u2019italianit\u00e0: porterei con me il mio essere italiano e lo coinvolgerei in una relazione interculturale – e probabilmente questa italianit\u00e0 ne uscirebbe purificata, privata di tanti elementi che oggi mi sembrano essenziali, e invece sono soltanto attualit\u00e0, polemica spicciola, forme passeggere di vita e mode.<\/p>\n Tradizione, non stato<\/p>\n Nella realt\u00e0 della \u201ctradizione senza stato\u201d (io preferisco parlare di tradizione culturale, anzich\u00e9 usare termini come nazione o etnia) si rivelano astratti, e si dissolvono, concetti come tradizionalismo o progressismo – la difesa ideologica di tutto ci\u00f2 che \u00e8 vecchio contro il nuovo, o di tutto ci\u00f2 che \u00e8 nuovo contro il vecchio-, e resta in primo piano ci\u00f2 che d\u00e0 qualit\u00e0 alla continuit\u00e0 storica. Pu\u00f2 trattarsi di eredit\u00e0 del passato ancora vigenti e attuali, come ad esempio la separazione dei poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo, che proviene dall\u2019antica Roma; o del ricordo di situazioni in cui sono stati affermati valori tutt\u2019ora importanti: quando leggo lo statuto di una corporazione medievale, mi rendo conto che esso non \u00e8 applicabile oggi, e dunque appartiene al museo, alla filologia, alla soffitta storica, per\u00f2 sono orgoglioso del fatto che quello statuto, nei limiti del tempo, affermava valori per cui si combatte anche oggi, proteggendo le vedove dei membri della corporazione, assicurando l\u2019istruzione ai figli, o curando il giusto rapporto tra qualit\u00e0 e prezzo nel lavoro. Quel documento mi fa capire di essere inserito in una continuit\u00e0: attesta un\u2019azione sociale grazie alla quale oggi abbiamo una certa cultura e non un\u2019altra – e il compito di essere coerenti sul piano dei valori, non si concretizza affatto con l\u2019obbligo di conservarne forme storiche obsolete.<\/p>\n L\u2019interculturalit\u00e0 come prospettiva globale<\/p>\n Ho accennato a questa tematica, che solo apparentemente esula dal discorso iniziale, per poter fissare un punto conclusivo che a me pare di grande interesse. Quando si comincia a parlare di interculturalit\u00e0, negli Anni Sessanta del secolo scorso, il sottinteso sembra essere la necessit\u00e0 di intervenire su un certo tipo di relazioni interpersonali, e precisamente quelle in cui appare come ostacolo la differenza di cultura tra le persone che entrano in rapporto. In un certo senso, la relazione interculturale sarebbe un caso singolo (o un certo numero di casi singoli) all\u2019interno di quel fenomeno pi\u00f9 generale chiamato relazione interpersonale. A mio modo di vedere, occorre rovesciare il discorso: la relazione interculturale \u00e8 la prospettiva globale, a partire dalla quale prendere in esame sia la relazione interpersonale, sia la concezione della societ\u00e0, sia i rapporti tra persone, societ\u00e0, stato. Perch\u00e9 alla base di qualunque fatto sociale o relazione c\u2019\u00e8 la persona (non l\u2019individuo delle teorie), e la persona \u00e8 la sua cultura. E questa cultura \u00e8 sempre, in maggiore o minor misura, inclusa in una tradizione, mentre pu\u00f2 non coincidere con l\u2019etnia nel cui seno si \u00e8 fisicamente nati. A scuola un insegnante instaura una relazione interculturale sia con il \u201cnegretto\u201d riccioluto sia con il \u201cpunk a bestia\u201d nato, vissuto e cresciuto in Italia, da genitori italiani (non \u00e8 un caso se si parla di \u201ctrib\u00f9 metropolitane\u201d). La prospettiva interculturale ha una globalit\u00e0 forse inattesa, perch\u00e9 mette a fondamento di tutto la persona concreta, cio\u00e8 l\u2019unico ente reale che crea la cultura. Interculturalit\u00e0 significa personalismo applicato alla realt\u00e0 dei rapporti umani.<\/p>\n\n
Studi Interculturali<\/h3>\n<\/div>\n